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Scrivere di cucina non vuol dire solo descrivere ricette o intervistare donne di casa o chef. Si può spaziare in modo ampio su tutto ciò che abbia dei legami con essa, partendo dalla cultura e le tradizioni, per arrivare fino al sociale. In questo articolo presento una intervista ad una fantastica signora italiana, non vedente, che organizza cene al buio, con la finalità di enfatizzare i sensi, differenti dalla vista, dei partecipanti, e di sensibilizzarli ai problemi dei non vedenti. Per esempio, oltre la mancanza della vista, spesso essi devono affrontare problemi pratici come la mancanza di strutture adeguate o di comportamenti idonei da parte dei vedenti, necessari per una completa integrazione nel tessuto sociale e nella vita di tutti i giorni.
Pompea Fiorini, “chef” non vedente

Originaria di una città non lontana da Roma, divenuta non vedente a causa di una patologia, conduce una vita normale nonostante l’invalidità, sentendosi pienamente realizzata sia a livello professionale (lavora per un istituto di credito) che familiare, dedicando molto tempo al suo hobby preferito: la cucina. Proprio attraverso la cucina, ha avuto modo di avvicinarsi alle cene al buio, eventi in cui gli ospiti sono invitati a mangiare in una sala totalmente oscura, con l’ausilio da parte di personale non vedente.
S: “Pompea, raccontaci come hai iniziato.”
P: “Fu un amico non vedente, che aveva partecipato ad un evento di questo tipo a Parigi, a trasmettermi questa passione. Le cene al buio iniziarono ad essere organizzate in Europa nei primi anni 2000, in particolare in Svizzera, Germania e Francia, e dal 2003 anche in Italia.”
S: “Dove organizzi queste cene?”
P: “In generale in occasione di eventi, ma anche nell’ambito di corsi professionali, per esempio per la formazione di dirigenti di impresa, o presso sindacati, ma anche in Parlamento. Con la collaborazione di camerieri non vedenti che io ho formato, abbiamo anche organizzato un evento in occasione di un convegno medico, con oltre 200 partecipanti.”
S: “Come si svolgono comunemente le cene al buio?”
P: “In generale le iniziative di questo tipo prevedono la partecipazione di camerieri non vedenti, uno per tavolo, che oltre a servire i piatti, forniscono ai clienti informazioni sulla disabilità. Io, con il tempo, ho varato un mio metodo, in cui lavoro da sola e metto gli ospiti in condizione di potersi servire autonomamente. Inizio con una fase preparatoria di rilassamento, poi descrivo l’evento e fornisco indicazioni su come a muoversi al buio. Li faccio accomodare, a gruppi di 4, nella sala totalmente oscura, per un totale massimo di 30/35 persone.”
S: “Quali sono le reazioni più comuni?”
P: “Un po’ di tensione, iper-sudorazione, a volte risate, oppure il silenzio più totale. Affrontare il buio, per un vedente, non è la cosa più facile di questo mondo. Per sciogliere la tensione e rassicurarli, uso molto il contatto fisico, dò una pacca sulla spalla, o faccio una battuta. Per far capire a chi mi sto rivolgendo, sfioro la mano o la spalla. Le persone seguono i miei passi, a tale scopo indosso dei tacchi che fanno rumore sul pavimento e mi metto un profumo forte, per attivare tutti i sensi che non siano la vista. Dopo la tensione iniziale, le persone si rilassano e l’ambiente diventa più conviviale. Io evito di rimanere in sala come il “Big Brother”, loro devono sentire quando mi avvicino, proprio per una forma di rispetto. Dopo aver spiegato come procedere, si servono da soli. Ma vige una regola fondamentale: devono controllare il tono della propria voce, per il rispetto degli altri e per un approccio sereno nei confronti delle diversità. Il buio è di aiuto perché cadono tutte le inibizioni dovute alla vista, che spesso ci condiziona e crea barriere emotive e culturali. In tal modo la gente comunica e socializza con più facilità. Non avendo il riferimento visivo, tendono ad alzare il tono della voce, soprattutto all’inizio, correndo il rischio che nel caos rimangano disorientati. Muoversi al buio non è facile, soprattutto in uno spazio esiguo come quello di un posto a tavola. Insegno loro a distinguere la bottiglia con l’acqua liscia da quella gassata, sentendo l’effervescenza, e a riconoscere la bottiglia di vino bianco da quello rosso. Li sfido a indovinare cosa stanno mangiando, il tipo di condimento, etc. Li induco anche a farmi delle domande. In tal modo la stanza diventa un centro di piacere, a livello gustativo, olfattivo, tattile e anche emotivo.”
S: “Quali sono le domande più comuni?”
P: “Mi chiedono come riesco a cucinare pur non vedendo, oppure come uso i fornelli, o come riesco ad apparecchiare. O, più semplicemente, come preparo un determinato piatto.”
S: “Che cos’è che ti spinge a organizzare queste cene? Qual è lo scopo che ti prefiggi?”
P: “Attraverso l’evento voglio essere grata alla vita, aiutando persone che pensano di avere problematiche insormontabili. Importanti sono il confronto con la mia disabilità, ma anche con il mio entusiasmo. Quando gli ospiti vanno via, sono tutti sorridenti e soddisfatti, e spesso tornano portando altri amici. Questo per me è gratificante, perché indica che ho avuto successo. Provo poi a stimolare la comunicazione nel momento della cena, momento in cui tutta la famiglia si riunisce intorno ad un tavolo e ha l’occasione di raccontare e condividere i momenti e i problemi della giornata. La cena al buio, inoltre, è un evento basato sul senso civico, per apprendere a considerare e rispettare le esigenze e le limitazioni degli altri.”
S: “Che cosa rappresenta per te la cucina?”
P: “Sono figlia di cuoca. Nella cucina esprimo la mia curiosità nella vita e per la vita. Mi piace esplorare e confrontare vari tipi di cucina, a volte mescolandole, per esempio partendo dalla cucina etrusca agro-dolce, fino alla cucina attuale. Uso molta frutta e spezie, unisco la cucina occidentale con quella orientale, volendo in tal modo favorire una piena integrazione fra gastronomie e culture differenti.”
S: “Dimmi qualcosa sulla accessibilità in cucina.”
P: “Esiste poco o niente. Adesso è tutto “touch”, per noi non vedenti è un grande problema. Io mi sono dovuta far personalizzare un forno dove sono state applicate delle manopole a scatti. L’iPhone potrebbe essere di aiuto, ha diverse app utili, che per esempio ci permettono di accendere il condizionatore o attivare il robot-aspirapolvere. Ma anche in tal senso, in cucina, al momento non esiste nulla, siamo noi che dobbiamo trovare il modo di adattarci.”
S: “Conosci dei non vedenti che lavorano in ristoranti?”
P: “Esiste nelle Marche un ristorante il cui proprietario è diventato cieco. Riesce a gestirlo con l’aiuto dei familiari. Per il resto, non mi risultano altri casi. Conosco alcuni non vedenti che sono sommelier, anche se poi hanno difficoltà a trovare lavoro, in quanto nei ristoranti, comunemente, preferiscono avere del personale vedente. Nelle cene al buio queste limitazioni non ci sono, per questo sono contenta di far capire ai normo-dotati che non è vero che si impara e si vive solo attraverso la vista.”
S: “Infatti la vista è solo uno dei 5 sensi, troppo spesso dimentichiamo che ne esistono altri 4… o forse 5, o di più”
In un evento che Pompea ha organizzato a Roma a marzo 2019, l’attrice Luisa Stagni, anche lei non vedente, ha recitato una poesia di Alex Garcia, poeta sordocieco brasiliano … leia mais
Articolo di Sandro Incurvati, pubblicato nella rivista italo-brasiliana “Insieme“, numero di marzo 2019
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